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Il Poeta Albino Defilippi (1859-1939)



(liberamente tratto da G. Spina, 1994 ed aggiornato)

Il Poeta Albino Defilippi (1859-1939)


Nato nel 1859 a Treville, da famiglia contadina, fu contadino egli stesso. Scrisse poesie in dialetto ed in lingua su vecchi quadernetti di varia forma (uno stretto e lungo, l'altro basso e largo, un altro quadrato, e così via), conservati nell'archivio parrocchiale di Treville.

Questi fascicoletti sono formati da fogli di calendari religiosi cuciti e rilegati, entro due copertine di cartone. Sulla prima pagina di ciascun quadernetto troviamo invariabilmente la seguente accorata avvertenza: «Si prega di conservare il presente scritto, non distruggerlo, donarlo più tosto via. Il distruggerlo è per me offesa», segue la firma: Albino Defilippi.

Le sue poesie furono pubblicate tra il 1930 e 1931 in due volumetti intitolati: "Gli Ultimi Canti di Albino Defilippi, ossia un Buon Pasto di Buona Minestra e Buone Pietanze" (Casale Monf., Tipografia Pezzana e Musso succ. Pane, 1930) ed "I miei ultimi canti", (Casale Monf., Unione Tipografica Popolare, di Botto, Alessio & C., 1931).

Albino sposò Vincenza Ghione ed ebbe un solo figlio, Teofilo, nato nel 1885.

Teofilo avrebbe dovuto realizzare il sogno artistico accarezzato dal padre e divenire pittore (frequentò a Torino la Regia Accademia Albertina di Belle Arti), ma nel maggio del 1905 il suo cadavere fu ritrovato alla confluenza tra il Po e la Dora. Non fu mai appurata la causa di questa morte misteriosa.

La biografia di Teofilo è contenuta alla fine de "I miei ultimi canti", mentre una sua poesia dedicata al padre Albino apre "Gli Ultimi Canti di Albino Defilippi".

Tornato a Treville, dopo la morte del figlio, Albino vi morì nel 1939.

Uomo schivo, introverso e di poche parole, Albino frequentò assiduamente la chiesa e fu terziario francescano. Non si recava all'osteria (ma il vino doveva piacergli, a giudicare da parecchi suoi inequivocabili versi), era sempre gentile e benevolo. La sua scarsa cultura di base non gli permise però di ottenere risultati apprezzabili nelle poesie in lingua italiana.

Evidentemente autobiografica è la divertente poesia pubblicata su "I miei ultimi canti" ed intitolata "La Vecchiaia".

Ecco qualche verso: «I brass vennu che fan muietta, / E le gambe fan gambaretta / E bsogna puntà 'l bastôn / Per nen ciapà dij trabuccôn / ... I casca tcò i dent d'am bucca / Che a mangià s'fa vitta lucca / ...l'è anca semp la stizza 'l nas / Che l'è brutt veddi e 'l dispiass...».

Il Paradiso era l'assillante pensiero del contadino-poeta, tanto è vero che sulla sua lapide, situata nella cappella del cimitero trevillese riservata ai membri delle Confraternite (i "Batu'"), volle il seguente epitaffio: "Oro e argento non vi chiamo / fiori e lacrime non bramo, / cerco neppure lodi ed onore / perché per me non hanno valore. / Solo aspetto mane e sera / dai pietosi una preghiera. /... Se recate a me conforto: anche voi guidate a porto, / Pregate per mia meta / pregate per me basso poeta".

Nella memoria dei trevillesi permane il ricordo della composizione intitolata "La canzone di Treville" (Strapaesana) e soprattutto del suo onomatopeico ritornello, che ricorda lo scalpiccio dei viandanti: «Evviva Tarvilla tich tich e tich toch / L'è 'l pais d'jarticioch». I versi, stampati in un foglio volante, erano cantati dai trevillesi in occasione del Pellegrinaggio annuale (a piedi) al Santuario Crea, oppure alla Fonte Solforosa, in uno di quei rarissimi giorni di riposo che interrompevano una vita di lavoro pesante e sempre incalzante.

Nota del webmaster:

dopo la pubblicazione del libro trevillese del prof. Spina (1994), è continuata la ricerca delle poesie di Albino Defilippi. Oltre a "I miei Ultimi Canti" (1931), è stato ritrovato il libretto "Gli Ultimi Canti di Albino Defilippi, ossia un Buon Pasto di Buona Minestra e Buone Pietanze" del 1930 ed alcune poesie sparse, tra le quali "La Funtanna Sulfurusa" (da lui dedicata alla Fonte di Treville).

Sorgono, inoltre, alcuni dubbi sulla reale attribuzione ad Albino Defilippi de "La Canzone di Treville". L'Autore è infatti citato nella canzone stessa e la grafia di alcune parole non sempre coincide con quella delle stesse parole pubblicate sui due suoi libretti di poesie.

Potrebbe esserci stata una compartecipazione, come Autore, del figlio Teofilo che come già visto dedicò al padre qualche verso.



La Canzone di Treville" (forse l'unica copia rimasta)